Quello di Julia Ducournau è sicuramente un cinema forte, viscerale, polarizzante, che supera il mero body horror per indagare nevrosi più ineffabili e palpitanti. Quattro anni dopo la Palma d’Oro ricevuta per Titane, la regista francese torna nelle sale con un terzo lungometraggio, Alpha, al cinema dal 18 settembre per I Wonder pictures. Sarà il primo must watch dell’autunno o sarà troppo anche per noi?
Alpha: tatuaggi e tormento
Alpha è una tredicenne inquieta, costretta a crescere in un mondo devastato da un misterioso morbo che si trasmette con modalità reminiscenti di quelle dell’HIV e che comporta una lenta e agonizzante trasformazione in statue di marmo. Tutto cambia quando torna da una festa senza ricordi e con un tatuaggio sul braccio — una A sbavata e gonfia che potrebbe essere stata fatta con un ago sporco. Inizia per lei e la madre, un medico specializzato nel trattamento della malattia, un interminabile periodo di paranoia ed emarginazione in attesa dei risultati del test. A complicare la situazione anche l’arrivo in casa dello zio Amin, fratello della madre di Alpha che combatte da anni con la tossicodipendenza. E per quanto le loro personalità, situazioni e crisi siano profondamente diverse, ad agitarli è la stessa inquietudine, un vento antico e sanguigno che soffia dentro di loro.
Per un cinema della spiacevolezza
A pelle, Alpha è un film la cui preoccupazione principale è far passare un’esperienza spiacevole al proprio spettatore. Quello che più di tutto fa rabbia è che, rispetto al (programmatico) vuoto pneumatico di Titane, questo film cerca attivamente un’interiorità — salvo poi perdersi completamente nella propria edgyness. Ogni volta che la camera guarda i nostri personaggi è solo per mostrarne la sofferenza, ogni fuggevole momento di connessione che si conquistano solo un trampolino per fargli succedere qualcosa di orribile subito dopo. Trama, ritmo, temi: tutto viene sacrificato all’altare di una monocorde spiacevolezza.
Alpha: Non siamo arrabbiati, siamo delusi
Tutto questo è particolarmente un peccato perché, ripeto, questo film trabocca di talento. Non soltanto la regia matutti i comparti tecnici e, soprattutto, il cast: le interpretazioni di Golshifteh Farahani e Tahar Rahim sono decisamente fra le migliori viste quest’anno.
In definitiva, Alpha è un passo avanti e due indietro per l’opera di Ducournau, che al momento cammina su una linea sottile: ha il potenziale di diventare una delle migliori registe della sua generazione come anche la parodia di se stessa. Solo il tempo saprà dircelo: rimaniamo curiosi e speranzosi per quello che la sua prossima opera avrà da dirci.
Il cast
Mélissa Boros è Alpha, una tredicenne tormentata. Golshifteh Farahani è la madre di Alpha, un medico, schiacciata dalla responsabilità di tutte le persone di cui si deve prendere cura. Tahar Rahim è Amin, zio materno di Alpha, un uomo la cui natura affettuosa è oscurata da una tossicodipendenza ormai in fase cronica. Nel film anche Emma Mackey nel ruolo di una delle infermiere dell’ospedale e Finnegan Oldfield in quello del professore d’inglese di Alpha con la quale la ragazza trova un’inaspettata, tacita comprensione.
La recensione
Alpha è un passo avanti e due indietro per l’opera di Ducournau: cerca un’interiorità e sfiora qualcosa di profondo, ma poi perde tutto nella ricerca di un’esperienza spiacevole e viscerale per lo spettatore. Enorme peccato.
Voto:
5.5/10