Dal 21 novembre Antonino è tornato in radio con “XSempre”, il singolo che apre ufficialmente la stagione di “VENTI25”. E, in un panorama musicale spesso ossessionato dalla velocità, dai tormentoni da weekend e dall’ansia di prestazione estetica, il suo ritorno ha il passo lento e sicuro di chi sa che la verità, quando c’è, non ha bisogno di fuochi d’artificio. Vent’anni di carriera non sono un numero: sono una postura. La postura di un interprete che ha scelto la sincerità come estetica, e la voce come identità politica.
“XSempre” è il suo modo di ricordarci che l’onestà può ancora essere spettacolare. È una canzone sull’assenza, ma soprattutto sul coraggio di non cancellare ciò che fa male. Qui Antonino non interpreta: confessa. È una pagina lasciata aperta sul tavolo, una memoria che torna, un sentimento che pretende spazio. La canta con quella delicatezza che diventa potenza, con quella fragilità che nel pop italiano spesso viene nascosta, mentre lui la indossa con naturalezza, come fosse un capo d’alta moda.
“VENTI25” non è un’autocelebrazione, e non è nemmeno un omaggio nostalgico ai primi vent’anni. È un gesto. Un gesto di ordine e di cura, un modo per riascoltarsi senza giudizio, un esercizio di rilettura che trasforma il repertorio in un organismo vivente. Antonino prende le sue canzoni, le spoglia, le riveste, le lascia cambiare: è un’operazione camp nella sua accezione più alta, quella per cui il passato non si imbalsama ma si reinventa. Recuperare senza replicare, ricordare senza congelare.
Il percorso che parte da Amici nel 2005 e arriva fino a oggi è fatto di premi, di palchi internazionali, di collaborazioni importanti e di un dialogo costante con il pubblico che lo ha seguito in ogni trasformazione. Ma è anche un percorso attraversato da silenzi, da ricominciamenti, da momenti in cui la musica diventa domanda prima ancora che risposta. Negli anni Antonino ha mantenuto una cosa rara: la credibilità. Non ha ceduto alla caricatura del “personaggio”, non ha ceduto alla tentazione di sembrare. Ha scelto di essere, e questa scelta oggi è evidente come non mai.
“Vent25” arriva dopo una stagione ricca, dal successo della power-ballad “Comunque sia” alla leggerezza apparentemente semplice di “Roma d’estate”, che ha accompagnato il tour del 2024 mostrando un artista in una forma nuova, più libera, più luminosa. Il nuovo progetto conferma questa direzione: meno rumore, più intensità. Antonino non corre dietro alle mode, costruisce percorsi. Non cerca l’effetto, cerca il senso. È una forma di eleganza emotiva che lo distingue da sempre.
“XSempre” è quindi un manifesto. Non la nostalgia di chi guarda indietro, ma la certezza di chi sa che la sua strada sta ancora davanti. Una presenza, più che un ritorno. Una dichiarazione di continuità: la musica come casa, la voce come atto di responsabilità e libertà. In un tempo in cui l’autenticità viene trattata come un hashtag, Antonino la tratteggia con la calma di chi la pratica da anni.
In questi vent’anni hai attraversato quasi tutti i linguaggi della performance, dalla televisione ai festival internazionali. Qual è il luogo in cui la tua voce si è rivelata davvero, quello in cui hai capito di non dover più compiacere nessuno?
Credo che la mia voce si sia rivelata davvero nel momento in cui ho smesso di cercare un posto e ho iniziato a riconoscere il mio. Non è un luogo fisico: è un istante. È successo quando ho capito che non avevo più bisogno di alzare il volume per essere ascoltato. Lì ho smesso di compiacere e ho iniziato a raccontarmi. La televisione mi ha dato visibilità, i festival mi hanno dato disciplina, i palchi mi hanno dato tecnica. Ma la verità l’ho trovata in uno studio mezzo buio, con una cuffia, un leggio e nessuna aspettativa. Quando mi sono riascoltato e ho detto: “Questa è la mia voce, e mi va bene così.” Da quel momento, tutto il resto è venuto di conseguenza.
“VENTI25” è un viaggio nei tuoi brani, rivestiti di una nuova pelle. Quando hai rimesso mano al tuo repertorio, c’è stato un momento in cui hai detto: “Questo pezzo lo capisco solo adesso”? E cosa significa interpretarsi nel presente?
Sì, ed è stato quasi spiazzante. Ci sono canzoni che ho scritto vent’anni fa pensando di aver capito l’amore, il dolore, la distanza. Oggi le rileggo e mi rendo conto che le avevo solo sfiorate. Interpretarsi nel presente significa accettare che diventiamo persone nuove, ma con le stesse cicatrici. Alcuni brani li ho risentiti e mi sono detto: “Adesso so esattamente cosa volevo dire, ma allora non avevo ancora il coraggio di dirlo.” “VENTI25” è questo: non una riscrittura, ma una resa dei conti. La mia voce è più libera oggi, e anche più indulgente.
La tua carriera è fatta di costanza, qualità e una forma rara di eleganza emotiva. Che cosa hai imparato dalla fragilità, e perché oggi è diventata una delle tue forze narrative più potenti?
Ho imparato che la fragilità non è una crepa: è una porta. Quando ho provato a nasconderla, mi sentivo finto. Quando l’ho lasciata uscire, tutto ha preso una forma più vera, più mia. Per anni ho pensato che mostrarsi forti fosse necessario per sopravvivere in questo mestiere. Poi ho capito che la mia forza non era nella perfezione ma nella sincerità. La fragilità ti costringe a guardarti dentro, a nominare ciò che ti fa male, a trasformarlo. E quando lo fai, la voce cambia: diventa più piena, più necessaria. Oggi racconto proprio questo: non quello che sembra, ma quello che sento.
Il successo, quando arriva presto, può essere un rifugio ma anche una gabbia. Oggi che hai più esperienza e meno urgenza di dimostrare, cosa significa per te “avere successo”? E cosa hai smesso di inseguire rispetto agli inizi?
Per me oggi il successo è una questione di pace, non di numeri. Se una canzone mi rappresenta davvero, ha già fatto il suo dovere. Agli inizi inseguivo la conferma, lo sguardo degli altri, il “mi dicono che valgo”. Adesso inseguo una cosa sola: la verità. Ho smesso di rincorrere il personaggio, la vetrina, la proiezione di ciò che “dovrei essere”. La mia ambizione oggi è molto più concreta: lasciare qualcosa che resti, anche piccolo, ma vero. Il resto è rumore di fondo.
Hai cantato l’amore, la perdita, la memoria, la speranza. C’è un frammento della tua vita – un sentimento, un passaggio, un nodo ancora non sciolto – che non hai ancora trasformato in canzone? E cosa ti trattiene dal farlo?
Sì, c’è una parte della mia storia che non ho ancora avuto il coraggio di mettere davvero in musica: il perdono. Quello verso gli altri, ma soprattutto quello verso me stesso. È un tema che ritorna, che sfiora certe frasi, certi respiri, ma che non ho mai raccontato fino in fondo. Forse perché per perdonarsi davvero bisogna chiudere alcune porte, e io alcune non le ho chiuse, le tengo socchiuse “XSempre”. Arriverà il momento di scriverlo. La musica mi ha sempre aiutato a dire ciò che la voce da sola non sa dire. Quando sarò pronto, lo farà anche stavolta.

