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Aragoste a Manhattan è la sleeper hit dell’estate — La recensione

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Alonso Ruizpalacios è uno dei nomi da tenere d’occhio: non solo per gli episodi che ha diretto di Star Wars: Andor, ma anche e soprattutto per i lungometraggi che glie li hanno procurati. Quarto e più recente di questi è Aragoste a Manhattan (in originale La cocina), adattamento contemporaneo della pièce teatrale La Cucina di Arnold Wesker, che dopo un percorso di festival lungo un anno approda nei cinema italiani questo 5 giugno, distribuito da Teodora Film.

Aragoste a Manhattan: caos (a malapena) controllato

Estrella, immigrata messicana che non parla una parola d’inglese, si fa faticosamente strada fino al The Grill di Times Square, una lussuosa trappola per turisti in cui, forte della sua esperienza in un ristorante stellato e di un piccolo malinteso, riesce a farsi assumere come cuoca. Sotto la superficie sfavillante del locale trova però la realtà della cucina, uno scantinato malconcio pieno di clandestini come lei costretti a condizioni di lavoro estenuanti dal proprietario Rashid.

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In batteria si ritrova con Pedro, cresciuto nel suo stesso paese, un cuoco capace logorato dagli anni dietro ai fuochi del The Grill. Insieme a Pedro Estrella conosce Julia, cameriera che di Pedro è rimasta incinta e vuole abortire, assieme a Samira, Nonzo, Ratòn e a tutte le altre anime perse della cucina. E mentre Rahshid e i suoi scagnozzi cercano furiosamente un ammanco di cassa e relativo colpevole, tutti i nodi verranno al pettine in una estenuante e folle prima giornata di lavoro. 

Fondamentali, fondamentali, fondamentali

Come la piramide di Maslow delle necessità umane, anche i bisogni di un film sono organizzati gerarchicamente. Alla base di tutto c’è la sceneggiatura, che alterna continuamente pieni e vuoti, detti e non detti, i momenti di caos a quelli di raccoglimento. Subito sopra la sceneggiatura sono invece le performance attoriali — e sotto questo punto di vista Raúl Briones e Rooney Mara ci regalano interpretazioni sporche e piene di sfumature, ma anche il resto dell’ampio e variegato cast di comprimari tiene alto il livello senza neanche una sbavatura. Ruizpalacios ha chiari i fondamentali e sceglie di concentrarvi le sue energie, ed è per questo che si porta a casa il primo 9 del 2025. 

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Aragoste a Manhattan e la danza delle forme 

Questa focus sui fondamentali non significa che Ruizpalacios ignori gli aspetti più sensoriali della settima arte. Al contrario, le scelte creative in termini di fotografia e coreografia sono chiare, focalizzate e armoniche con la visione generale del film, e ci restituiscono una cucina come mondo stretto, girato per lo più in 4:3, tattile, texturale, asfissiato da lunghi piani sequenza mai gratuiti e da un bianco e nero che, per una volta, non risulta affettato. Bravi tutti. 

Il cast

Raúl Briones è Pedro, cuoco provetto addetto al pollame esasperato dalla piccolezza dell’universo della cucina del The Grill. Rooney Mara è Julia, cameriera divisa fra la storia con Pedro e qualcuno che l’aspetta a casa, mentre Anna Diaz è Estela, personaggio di cui seguiamo la prospettiva ma che ancora non ha trovato il suo posto nella squadra. Attorno a loro si muove l’ampio e incantevole cast della cocina: Soundos Mosbah è Samira, Motell Foster è Nonzo, Eduardo Olmos è Luis, Lee Sellars è lo Chef, Spenser Granese è Max e Oded Fehr è il gretto proprietario Rashid.

La recensione

Ruizpalacios ha chiari i fondamentali di quello che fa un bel film. Le scelte creative chiare, focalizzate e armoniche e ci restituiscono un mondo stretto, tattile, texturale, asfissiato. È per questo che si porta a casa il primo 9 del 2025. 

Voto:

9/10
9/10
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