Se dico il nome Balenciaga oggi chiunque lo assocerà agli eccessi, alle provocazioni, al gusto molto divisivo e a tratti disturbante del direttore creativo della Maison, nata spagnola e naturalizzata francese, Demna Gvsalia.
Abiti di Haute Couture, non ho detto alta moda non per darmi un tono ma proprio perché stiamo parlando di una maison che ha sempre seguito e anche contestato le rigide e ferree regole della Chambre syndicale de la haute couture parisienne, e di prêt-à-porter capaci di far sognare, indignare, discutere l’isolato dei titolati a parlare della moda, i tuttologi virali, i soliti boomer – termine che non fotografa più una generazione, ma uno stile di vita non gradito a quella attuale – la GenZ e l’unica, mai dimenticata, e iconica casalinga di Voghera che ne discute al bancone del bar con il suo alter ergo l’allenatore di calcio del lunedì mattina.
Le estetiche di Balenciaga a volte sono da capire, ci si deve ragionare per gridare BRAVO – leggetelo con accento francese come se foste in una serie americana nel massimo del climax di uno spettacolo [ndr] – o capire che è un po’ una supercazzola prematurata con scappellamento a destra come se fosse antani; fatta questa premessa per me fondamentale cerchiamo di capirne il perché!
Balenciaga la recensione della serie
Su Disney+ dal 19 gennaio, sono disponibili i sei episodi che raccontano la storia del marchio Balenciaga e del suo fondatore Cristóbal.
Ma di cosa parla davvero la serie? Perché è utile e interessante il racconto della vita di un uomo che attraverso la sua visione del mondo, dell’eleganza, del corpo della donna e dei volumi che ne possano esaltare i pregi e nascondere le peculiarità, chiamarli difetti non mi piace, ci possa far comprendere meglio la nostra contemporaneità, la nostra idea di moda, di eleganza, di fotografia della società e delle sue, anzi nostre, ossessioni? Cerchiamo di arrivarci insieme.
La serie inizia al funerale di Coco Chanel nel 1971 quando Cristóbal, che tre anni prima si era ritirato dal mercato, viene convinto dalla giornalista Prudence Glynn a rilasciare una delle pochissime interviste della sua carriera. In questo lungo dialogo ripercorriamo l’esordio parigino nel 1937, la prima fallimentare collezione, la consacrazione nel ruolo di Maestro dell’Haute Couture.
Nel racconto dell’ascesa a ruolo di Maestro dello stile e della moda non possono mancare l’orrore, la disperazione, il pericolo dell’arrivo dei nazisti a Parigi nel giugno del ’40, il racconto di come un accessorio diventa carico di politica, “pericoloso”, per un regime che voleva imporre il rigore e l’azzeramento della libertà di espressione.
L’impossibilità e la paura di vivere la propria omosessualità e il rapporto con il compagno e socio Vladzio Jaworowski d’Attainville. L’impossibilità di mostrare il dolore per la morte dell’amato, lo convincerà a farlo con lo stile Balenciaga rendendolo manifesto, ma celato.
L’importanza e l’influenza delle donne dell’altra società capaci di rendere straordinaria o far fallire una collezione.
La “crisi” per l’arrivo di quello che la stampa elesse subito a suo rivale: Christian Dior. Il padre del New Look rispetto al couturier spagnolo divenne un personaggio “pubblico” fotografato e l’uso della comunicazione fu rivoluzionario come le sue silhouette.
Già negli anni ’50 si iniziava a parlare della moda pronta nei grandi magazzini, delle licenze che permettevano di replicare i modelli, della necessità di usare materiali di qualità ma che permettessero una produzione seriale e costi “contenuti” e del nuovo grande nemico le contraffazioni, le copie cheap, la necessità di tutelare i lavori e la loro unicità arrivando a stravolgere alcune regole che sembravano scritte nella pietra.
L’incontro con Hubert Givenchy che nel 1968, quando Balenciaga decise di chiudere la Maison, ne erediterà la clientela e che deve proprio al couturier l’incontro con Audrey Hepburn che legherà in maniera indissolubile il suo nome a quello di Givenchy diventandone Musa dopo la collaborazione per Sabrina.
La collaborazione tra Balenciaga e Air France è la prova tangibile dell’incapacità di immaginarsi nel sistema industriale del prêt-à-porter a discapito della precisione maniacale del creatore di Alta Moda.
Il maggio francese che segna la grande più rivoluzione sociale del dopo guerra e apre le porte a una nuova visione del mondo segna anche la fine dell’attività della Maison perché non c’erano più le condizioni per creare quella moda straordinariamente visionaria e classica al tempo stesso, per giocare con i tessuti che diventano moderni per tuti, ma scadenti per il Maestro.
La serie è fatta molto bene perché, oltre a far conoscere intimamente il genio racconta la moda, una volta tanto, per quello che è, con i suoi lati chiari e quelli oscuri, senza macchiette o cliché.
Dopo aver visto la serie vi consiglio di vedere il Balenciaga di oggi e davanti alla cosa che meno capite o trovate stridente cercate un po’ di quella visione che trasgrediva tutte le regole e forse capirete anche perché Myrtle Snow, nella più iconica delle scene di American Horror Story – Coven, grida proprio il nome del grande maestro prima che le fiamme l’avvolgano.
Crystobal Balenciaga
La serie è fatta molto bene perché, oltre a far conoscere intimamente il genio racconta la moda, una volta tanto, per quello che è, con i suoi lati chiari e quelli oscuri, senza macchiette o cliché
Voto:
8/10