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Dispatches From Elsewhere su Prime Video, non una recensione ma una lettera d’amore per una serie travolgente

Dispatches From Elsewhere da lunedì 15 giugno su Amazon Prime Video con Jason Segel e Sally Field

L’uomo è un essere fragile, dominato da paure e insicurezze che nasconde dietro maschere da usare a seconda delle circostanze e della propria personalità. C’è chi si rifugia nell’aria del sicuro, di quello che ha sempre in mano la verità e la risposta giusta, chi trova conforto nella risata e chi nella rabbia, c’è chi alza la voce e chi il pugno, c’è chi resta in silenzio e chi non riesce a smettere di parlare. Dietro tutto questo c’è l’incertezza di sapere quello che succederà domani, l’incertezza dell’oggi che condiziona il futuro.

E quattro diverse fragilità, quattro personalità che si trovano per voler del destino o di una macchinazione superiore, sono al centro di Dispatches From Elsewhere una serie tv antologica in 10 episodi che per dirla con il suo creatore Jason Segel potrebbe fermarsi qui o proseguire con un’altra storia da raccontare. Dispatches From Elsewhere produzione AMC Studios, arriva in Italia su Amazon Prime Video da lunedì 15 giugno e benedetto sia questo accordo di ridistribuzione che fa incontrare mondi affini, in cui la qualità vince sulla quantità (almeno per ora, il futuro chissà).

Una serialità non per tutti

Liberiamo subito il campo da un problema: Dispatches From Elsewhere non è per tutti. Per fortuna. Non è un prodotto pensato per piacere al tredicenne e alla nonna che lo accudisce, all’adolescente e al per sempre adolescente, ma è una serie che chiede allo spettatore un atto di fede. Se decidi di andare avanti dopo i primi minuti devi allungare la mano e lasciarti trasportare perchè il viaggio che dopo 10 ore ti sei ritrovato a fare probabilmente non ti lascerà allo stesso modo in cui ti aveva trovato all’inizio.

La trama…perchè è necessario

Proprio per questo non è facile raccontare Dispatches From Elsewhere, perchè il cuore della sua trama è qualcosa che non gli rende giustizia. Jason Segel ha tratto ispirazione per realizzare questa sua serie dal documentario The Institute in cui si racconta un’esperienza di gioco realistico che a San Francisco per 3 anni ha coinvolto oltre 10000 persone, attirati da una serie di volantini piazzati in punti strategici della città.

Proprio da qui parte la serie, dall’idea che personalità diverse che vivono a Philadelphia si ritrovino insieme per una sorta di esperimento condiviso in cui partecipare a un gioco collettivo ricevendo indizi completando delle missioni e lavorando in gruppo. Un gruppo costruito per creare formazioni omogenee in cui le qualità di ciascuno possano intrecciarsi.

Ciascuno di loro sente che nella propria vita manca qualcosa ma è la definizione di questo qualcosa che ancor di più manca. Jason Segel è Peter un informatico che lavora con la musica per sviluppare algoritmi sulla creazioni delle playlist, un lavoro meccanico e non creativo. Un uomo spento, perso nella sua routine, incapace di aprirsi al mondo, cui è impossibile non voler bene fin dal primo minuto.

La sua squadra è formata da Simone (Eve Lindley) una ragazza transessuale che vive sempre in bilico, incapace di abbracciare la felicità; Fredwyin (Andre Benjamin) ossessionato dalla ricerca della perfezione e Janice (Sally Field) una moglie e madre che cerca quella scintilla passata andata perduta. Il gioco è gestito da una misteriosa figura, Octavio (Richard E. Grant) che è anche la prima faccia che vediamo quando inizia la serie, a capo dell’istituto Jejune, una potente organizzazione contrastata da un gruppo di ribelli che prova a deviare i concorrenti mostrando loro la cospirazione che si nasconde dietro il gioco. Bene e male, bianco e nero, Dio e Satana, l’universo si regge su questo dualismo che è anche ala base del gioco.

Ma questa serie non è un gioco. Scritta da un Jason Segel che arriva dalla commedia, la serie viaggia tra i generi, fa sognare lo spettatore come in un film di Gondry, lascia il terreno per volare oltre, per raggiungere vette che sembrano impossibili nella frenesia della quotidianità, nella dittatura del tutto e subito.

Perchè vedere Dispatches From Elsewhere

Perchè vedere Dispatches From Elsewhere? perchè decidere di andare su Amazon Prime Video e cliccare proprio su quel contenuto? Se vi fate queste domande forse è meglio evitarlo, non siete pronti per questa avventura, c’è bisogno di una prova di fiducia superiore a quella di chi si chiede perchè sta facendo qualcosa.

Non è una colpa, semplicemente è il gusto diverso di ciascuno di noi che decide di lasciarsi più o meno coinvolgere da ciò che vede. E come avrete probabilmente intuito, le 10 ore di Dispatches From Elsewhere sono un’esperienza che mi ha profondamente colpito per la sua voglia di stupire, di raccontare, di coinvolgere lo spettatore da un punto di vista emotivo ma senza andare alla pancia ma conquistando la mente di chi guarda.

Senza sottovalutare una sceneggiatura impeccabile capace di dar vita a un soggetto di per se interessante, innestandovi personalità con cui lo spettatore è in grado di entrare in contatto. Senza dimenticare le prove degli attori dai più conosciuti fino alla scoperta di Eve Lindley. Senza tralasciare l’impatto visivo travolgente e sempre diverso a seconda delle situazioni che vivono i protagonisti. Dispatches From Elsewhere è principalmente un’esperienza umana come raramente si ritrovano oggi nel mondo della serialità. Una serie che nel bene o nel male non vi lascerà indifferenti.