Cos’è umano, e cosa è mostruoso? È questa la domanda fondamentale che anima il classico romanzo gotico del 1818 di Mary Shelley, che nell’ultimo secolo si è guadagnato più di tre dozzine di adattamenti cinematografici. La versione che guardiamo oggi è un retelling fanta-gotico del maestro del mostruoso in persona Guillermo del Toro, uscito in poche sale selezionate (più per poter essere nominato agli Oscar) e in streaming su Netflix dal 7 novembre.
Frankenstein: un classico rivisitato
La vita di Victor Frankenstein è stata guidata da un’unica ossessione: sconfiggere la morte. Figlio di un chirurgo rinomato ma severissimo e di una madre tenera ma morta giovanissima, Victor passa gli anni successivi a studiare e sfidare la scienza medica pur di raggiungere un traguardo apparentemente impossibile. Questo finché non incontra Herr Harlander, trafficante d’armi che per ragioni misteriose decide di sostenere la sua ricerca con mezzi illimitati. Ma, si sa, ottenere quello che si desidera è estremamente rischioso, e la creazione di una Creatura rianimata è per Victor solo l’inizio di un’avventura portentosa e terrificante…
Del Toro, Frankenstein e la relatività delle somme
Esiste un concetto, in filosofia e matematica, chiamato non sommatività. È quella strana proprietà di un sistema di parti individuali che, quando vengono addizionate, producono un totale molto diverso da quello che ci si aspetterebbe. In quest’ottica il Frankenstein di Del Toro dimostra una sommatività strana, molto personale. Che, tradotto in termini pratici, significa: per me il film non ha funzionato, anche se quasi tutte le sue componenti sono in realtà ottime. Il cast è spaziale e ci regala interpretazioni solide su tutta la linea. Production design e costumi sono da urlo, e ci ricordano ancora una volta che sì, guardare un film girato in ambienti perlopiù tattili fa ancora una differenza. Chapeau.

Un tema delicato
Al centro di questo vortice di bellezza c’è una storia, fondamentalmente, sulla genitorialità e sulla sua natura a volte tragica. Il film guarda infatti al dare la vita come un atto totale di responsabilità verso un altro essere umano, secondo solo (forse) al toglierla. Ed è proprio nell’esecuzione di questa giuntura concettuale che, per me, crolla il castello di carte di Frankenstein. Perché se questa prospettiva tocca nel profondo, i personaggi mancano della tridimensionalità necessaria a esplorarla davvero, trasformandosi in macchiette incapaci di incarnare l’ambiguità e le mille contraddizioni che spesso accompagnano la decisione di creare una vita, il mix inscindibile di amore e ragioni egoistiche.
La questione è però profondamente personale, ed è proprio per questo che non dovreste prendere per buono questo giudizio. Guardate Frankenstein: al cinema se potete, altrimenti su Netflix, ma guardatelo. È sempre bello vedere un maestro al lavoro ed è sempre bello arrovellarsi il cervello per costruirsi un’opinione.
Il cast
Oscar Isaac interpreta il geniale e tormentato scienziato Victor Frankenstein, mentre Jacob Elordi è la Creatura a cui egli dà vita. Christoph Waltz è Herr Harlander, il misterioso finanziatore di Victor e zio di Elizabeth, empatica fiamma di Victor interpretata da Mia Goth. Felix Kammerer è William, fratello minore di Victor, aiutante e promesso sposo di Elizabeth, mentre Charles Dance interpreta il barone Frankenstein, padre dei due fratelli e rinomato chirurgo. Infine, Lars Mikkelsen interpreta il capitano Andersen, comandante di una nave rompighiaccio impegnata in una dissennata missione per raggiungere il Polo Nord.
La recensione
Formalmente magnifico, solido nelle interpretazioni e con un angolo tematico affascinante, il Frankenstein di Del Toro cade un po’ sull’esecuzione delle sue premesse. Consigliamo però assolutamente la visione – possibilmente al cinema – per farsi una propria idea.
Voto:
6.5/10