Dottore, dottore, i sintomi ci sono tutti: è arrivata su Netflix una nuova commedia romantica non particolarmente ispirata (ding) ambientata in una location fuori dagli Stati Uniti (ding) che cerca di capitalizzare su un trend di internet in maniera non molto critica — in questo caso il dark academia (ding ding ding!). Stiamo ovviamente parlando di Il mio anno a Oxford, uscito sulla piattaforma il primo agosto e già in cima alla top ten. Ma, al di là della formulaicità, riuscirà a farci passare un paio d’ore felici?
Il mio anno a Oxford: sogni d’accademia
Anna ha sempre vissuto in modo pianificato e deciso: massimo impegno nello studio, laurea con super lode e un’offerta di lavoro in finanza — per l’immensa gioia di sua madre — ancora prima di mettere piede fuori dall’università. Prima di iniziare la vita adulta, però, si concede un’ultima cosa per sé: un anno a Oxford per studiare poesia romantica. Purtroppo però la professoressa che lei adora questo semestre viene sostituita da Jamie, uno studente di dottorato tanto spaccone quanto affascinante. L’attrazione fra i due è immediata e innegabile, ma degli spettri misteriosi nel passato e nel presente di Jamie e la natura pianificatrice di Anna rischiano di mettersi fra i due…
Non basta dire Oxford
Questo non è un film, è una fanfiction. I protagonisti si incontrano al minuto 5, mostrano immediatamente tutti i segni di un’attrazione totale e irrealistica, e da là sappiamo già come andranno le cose. I momenti di conflitto fra i due sono stanchissimi, quasi come se dovessero spuntare una voce dalla lista delle cose da fare, e anche quando la trama prende quello che dovrebbe essere un twist inaspettato e inquietante la tensione rimane bassina. A salvare la vibe giusto Mylchreest, che si rivela inaspettatamente charmant.
Il mio anno a Oxford e la slopaganda
Il mio anno a Oxford potrebbe essere un film-simbolo di una tendenza nelle produzioni direct-to-streaming. Non è propriamente brutto, non è offensivo, come direbbe mia madre “si lascia guardare”. Però con un tema come il suo si potrebbe fare tanto, così tanto di più, senza neanche dover aumentare il budget. Basterebbe non fermarsi alla prima bozza. In una cultura che sempre più ci inonda di slop, contenuti che fanno il minimo che devono fare e niente più, che siano generati dall’intelligenza artificiale o meno, è una tendenza che dobbiamo tenere sotto controllo, prima di tutto in noi stessi. Perché è facile adagiarsi sul “eh, vabbè, ma non mi sono annoiato”, ma la verità è che anche i “banali” prodotti d’intrattenimento possono darci più o meno nutrimento culturale.
Se il vostro cuore desidera proprio una commedia romantica su Netflix con Sofia Carson protagonista, La lista dei miei desideri è uscito appena qualche mese fa e perlomeno prova a parlare delle cose con un po’ più di cuore.
Il cast
Sofia Carson interpreta Anna, una tipica ragazza del Queens: pratica, determinata e inarrestabile, a volte a scapito della sua anima sensibile. Corey Mylchreest interpreta Jamie, rampollo di una famiglia antica che pensa che ogni attimo vada vissuto a fondo. Harry Trevaldwyn è Charile, vicino di casa di Anna diventato compagno di malefatte, mentre Esmé Kingdom e Nikhil Parmar sono gli amici Maggie e Tom. Poppy Gilbert è Cecelia, una ragazza con un enigmatico legame con Jamie, mentre Dougray Scott e Catherine McCormack interpretano i suoi genitori.
La recensione
Questo non è un film, è una fanfiction. Non è propriamente brutto, non è offensivo, come direbbe mia madre “si lascia guardare”. Però con un tema come il suo si potrebbe fare tanto, così tanto di più, senza neanche dover aumentare il budget — basterebbe non fermarsi alla prima bozza. Ci meritiamo di meglio.
Voto:
4.5/10