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La notte arriva sempre: un timido superamento della trauma narrative – La recensione

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Il giorno di Ferragosto ha segnato per Netflix l’arrivo di una sleeper hit: La notte arriva sempre, terzo lungometraggio dell’inglese Benjamin Caron che, zitto zitto, si sta conquistando una posizione in cima, e poi al centro, della top ten. Esploriamo insieme questo inaspettato pretendente al titolo di film dell’estate e scopriamo se si tratta di un genuino caso cinematografico o solo un fuoco di paglia.

La notte arriva sempre: una lotta contro il tempo

Lynette è sempre alle strette: coperta di debiti, divisa fra una marea di lavori non sempre legali e con i servizi sociali che aspettano il minimo segno d’instabilità per portarle via il fratello Kenny, che ha la sindrome di Down. La possibilità di riuscire a comprare la casa dove vivono a un prezzo di favore  sembra un miraggio di stabilità, che s’infrange quando la madre Doreen, una donna caduta nell’apatia dopo anni di tribolazioni, spende tutti i loro risparmi all’ultimo momento. A Lynette rimane una sola notte per trovare i 25.000 dollari necessari per assicurarsi la casa e proteggere il futuro della propria famiglia. Per riuscirci, finirà in un vortice di oscuri compromessi che la costringeranno a tornare in un passato oscuro e vischioso di cui pensava di essersi liberata.

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Una recensione in due confessioni

Confessione numero uno: ci ho messo una settimana a finire questo film, in quattro o cinque riprese. Non perché sia brutto ma perché è davvero tanto ansiogeno — il che è un bene: vivere certe situazioni è proprio impattante perché l’esistenza stessa diventa claustrofobica, ed è sempre  bello vedere un film che si approccia a certi temi cercando di rappresentare non la loro estetica ma la sensazione di viverli dall’interno. A supportare questo continuo senso di corsa contro il tempo una fantastica fotografia notturna, sia da terra sia con un ottimo uso delle riprese aeree, e delle performance super solide da tutto il cast. Particolarmente degni di lode la chimica fra Kirby e Gottsagen, che vendono bene l’affetto fraterno che li unisce, e la scrittura di Kenny, che per una volta non è il semplice plot device ma un personaggio completamente formato e rappresentato.

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La notte arriva sempre: l’oscuro garbuglio dell’essere umano

Confessione numero due: proprio per questo, La notte arriva sempre è ottimo anche sotto la superficie. Perché in una varietà di momenti avrebbe potuto abbandonarsi a spiegazioni facili delle realtà psicologica dei suoi personaggi, e invece sceglie di non farlo. Decide di spiegare senza giustificare, di lasciare spazio alle interpretazioni e anche all’agentività. Altro non posso dirvi senza spoilerare quello che è il nucleo centrale del film: dovrete scoprirlo da voi. La notte arriva sempre non è un film perfetto, ma una pellicola che dimostra una chiara volontà di superare il modello semplicistico della trauma narrative per qualcosa di più ingarbugliato, più complesso e più umano, che non per questo perde di empatia.
Unico neo la scena finale — decisamente troppo didascalica e saccarina — per il quale però mi sento di puntare il dito sullo studio, perché sembra un’aggiunta successiva.

Il cast

Vanessa Kirby è Lynette, una giovane donna con un passato traumatico che fatica a tenere insieme le fila della sua famiglia. Zack Gottsagen è Kenny, il fratello maggiore che Lynette non vuole rischiare di perdere a nessun costo. Jennifer Jason Leigh è la madre di Lynette e Kenny, una donna caduta nell’apatia. Stephan James è Cody, collega di Lynette con un passato di problemi con la legge, mentre Michael Kelly è Tommy, un uomo del suo passato che ha avuto un ruolo agghiacciantemente importante nella sua crescita. Nel film anche Julia Fox nel ruolo di Gloria, vecchia amica di Lynette che le deve dei soldi, ed Eli Roth in quello del losco businessman Blake.

La recensione

La notte arriva sempre non è un film perfetto, ma una pellicola che dimostra una chiara volontà di superare il modello semplicistico della trauma narrative per qualcosa di più ingarbugliato, più complesso e più umano, che non per questo perde di empatia. Difficile ma consigliatissimo.

Voto:

8.5/10
8.5/10
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