Il franchise di Predator arriva alla sua settima incarnazione (nona, se contiamo i due Alien vs. Predator), e prova un po’ a reinventarsi, mettendo per la prima volta la titolare creatura nelle scarpe del protagonista. Predator: Badlands fa il suo debutto al cinema giovedì 6 novembre 2025 con regia di Dan Trachtenberg, che per il franchise ha già diretto Prey e il recente film animato Killer of Killers, ma riuscirà a farci tornare l’hype?
Predator: Badlands: il fallimento non è un’opzione
Dek è un giovane Yautja, più piccolo e debole degli altri, che non vede l’ora di completare la sua prima caccia per guadagnarsi il mantello di Predator. Ma, si sa, la società Yautja non tollera la debolezza, e Dek si trova emarginato e braccato dal suo stesso padre. Per provare il suo valore Dek viaggerà fino al pianeta Genna per dare la caccia al Kalisk, una bestia quasi leggendaria di cui perfino suo padre ha paura. Genna si rivelerà però una letale giungla in cui ogni forma di vita è ostile: per sopravvivere Dek dovrà stringere un’inaspettata alleanza con Thia, un’androide della Weyland-Yutani Corporation, e con una piccola e misteriosa creatura autoctona di nome Bud.
Nulla di specifico
Predator: Badlands non ha, in senso stretto, nulla che non vada. La storia rispecchia la struttura in tre atti tanto cara a Hollywood e parla di valori universali, del ‘costruirsi un clan’ come modo di trovare se stessi. La trovata di usare il Predator come protagonista è se non altro stimolante. Gli effetti visivi sono generalmente di buona qualità, a parte qualche sequenza d’azione un po’ troppo rapida e ‘vaporosa’ per essere ‘sentite’ davvero. Ma allora, perché è un film che alla visione risulta così poco incisivo?

Tracotanza tecnologica
Predator: Badlands mi ricorda molto i videogiochi dei primi anni 2000: una premessa un po’ arbitraria per lanciare il protagonista in un ambiente nuovo e ostile, a cui segue un’infilata di momenti d’azione gratuita e caotica contro una varietà di mostri e creature, solo simbolicamente uniti da una trama che potrebbe essere riassunta su un tovagliolo. Tanto movimento, insomma, ma con un lavoro sui personaggi che rimane molto basilare. Non aiuta certo il fatto che il nostro protagonista abbia un volto CGI, una voce distorta e parli una lingua aliena — e infatti l’highlight del film è proprio la doppia interpretazione di Elle Fanning, che è talmente brava a interpretare le due androidi gemelle ma con personalità incredibilmente diverse che più di una volta mi sono chiesto se non fosse un’altra attrice fisicamente molto simile.

Tutto questo non vuole essere un noioso e reazionario discorso anti-CGI, anti-film d’azione e anti-tutto: gli strumenti tecnologici nel cinema sono potentissimi amplificatori della creatività umana. Non dobbiamo dimenticarci, però, che il motivo per cui guardiamo i film — tutti i film, anche quelli più stupidi — è perché ci fanno costruire una connessione empatica con i personaggi e le storie che raccontano. Ed è proprio in questo che sta la tracotanza tecnologica di Badlands: nel dimenticare che anche nelle sue forme più fantastiche, il cinema è fondamentalmente una cosa che parla degli esseri umani. E che tutto il resto è puro condimento.
Il cast
Lo stuntman Dimitrius Schuster-Koloamatangi interpreta il giovane Predator Dek ma anche suo padre Njorr, spietato leader del clan Yautja. Doppio ruolo anche per Elle Fanning, che interpreta le “gemelle” androidi Thia e Tessa, spedite su Genna dalla Weyland-Yutani per fare ricerca su una rara arma biologica. Mike Homik è invece Kwei, fratello maggiore di Dek, pronto a difenderlo a ogni costo. Fra i doppiatori che si sono prestati alle parti minori annoveriamo invece Alison Wright ed i fratelli Duffer, showrunners di Stranger Things.
La Recensione
Predator: Badlands non ha nulla che strettamente non vada, e a qualcuno probabilmente piacerà. È, però, incredibilmente poco incisivo, con personaggi incredibilmente sottili anche per un film d’azione sci-fi.
Voto:
6/10