Dituttounpop > TV > Seconda Vita mercoledì 20 novembre le storie di Fernanda Lessa e Hicham Ben’Mbarek.

Seconda Vita mercoledì 20 novembre le storie di Fernanda Lessa e Hicham Ben’Mbarek.

Seconda Vita storie di rinascita con Gabriele Parpiglia su Real Time e in streaming su DPlay

Fernanda Lessa e Hicham Ben’Mbarek nell’appuntamento di mercoledì 20 novembre

Prosegue l’appuntamento con Seconda Vita su Real Time mercoledì 20 novembre insieme a Gabriele Parpiglia che racconta le storie di chi ha avuto una seconda opportunità. I protagonisti sono stati scelti accuratamente. Ognuno di loro ha avuto una prima e una seconda vita. C’è chi è riuscito a rialzarsi. C’è chi invece racconta a se stesso una fiaba piena di bugie.

Seconda Vita è in streaming su  Dplay (sul sito www.it.dplay.com – o scarica l’app su App Store o Google Play), in tv su Real Time canale 31 del digitale e di TivùSat, 160 (161 +1) di Sky.

Seconda vita anticipazioni 20 novembre

La prima a raccontarsi è la modella e conduttrice tv Fernanda Lessa: “Nella mia vita ho provato di tutto per anni, ho speso anche mille euro al giorno per farmi di cocaina. Quand’ero all’apice del successo tutti pippavano. Ho provato l’ecstasy e ho amato una donna famosa, che ho lasciato quando ho scoperto che era minorenne.

Gli eccessi e i soldi mi hanno portato dritta a Hollywood, ma ho rifiutato le avances di George Clooney e Matt Dillon. In Italia ho amato Bobo Vieri, ma lui mi ha lasciato per colpa di un paparazzo. Quando ho trovato il primo vero amore sono rimasta incinta, ma mio figlio non ha visto la luce. Sono impazzita e ho gettato la mia vita nell’alcol, bevevo fino a tre litri al giorno di vino. Oggi sono in cura. Rialzarsi dal mio passato non è stato facile, ma ci sto provando. Tra disintossicazioni e l’amore per la mia famiglia.”

Il secondo incontro è con Hicham Ben’Mbarek, impreditore di successo e fondatore del marchio Benheart che veste i vip di tutto il mondo: “Sono arrivato in Italia grazie al coraggio di mia madre Sadia. Ero piccolo, ricordo il barcone e l’ingresso da clandestino. Oggi non si può morire in mare senza avere un nome. Sognavo di fare il calciatore, ma nel 2011 un infarto ha fermato la mia corsa sul campo. Per sette mesi ho aspettato un cuore per un trapianto, in quei mesi ho costruito il mio futuro e ho creato e disegnato Benheart, ‘Ben’ che in marocchino vuol dire ‘figlio’ e ‘heart’ che vuol dire ‘cuore”, quella che sarebbe diventata la mia linea di moda, la mia opportunità.

Mi hanno rispedito a casa dicendo che non c’era niente da fare: il mio cuore aveva il 7% di funzionalità. Mi hanno detto “vai a salutare i tuoi figli”, ma poi si è verificato il miracolo ed è arrivato un cuore nuovo e da quel momento sono tornato in vita. Lo dovevo a mia madre e ai miei figli. Da quel momento ho dato il via alla mia azienda. All’inizio ero solo con il mio martello e cinture di pelle da bucare. Oggi posso contare su oltre 240 collaboratori e 16 punti vendita sparsi in tutto il mondo. Ringrazio l’Italia, ringrazio mia madre: se non mi avesse portato via dal Marocco su quel viaggio della speranza dove potevamo morire in mare, se non avessi avuto un cuore nuovo, oggi non sarei qui. Al razzismo rispondo con un sorriso, perchè io ero morto.”