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A Murder at the End of the World la recensione: un giallo filosofico freddo e romantico (troppo)

Diciamoci la verità. A Murder at the End of the World da oggi su Disney+ in Italia e FX/HULU nel mondo era atteso e temuto perché creato da Brit Marling e Zal Batmanglij, il duo che aveva traumatizzato il pubblico mondiale per The OA. Ancora oggi c’è chi si domanda se ha assistito a una colossale presa per i fondelli e chi è a caccia di ogni singola traccia filosofica presente nella serie.

Sciogliamo subito un dubbio che non vuole essere spoileroso: A Murder at the End of the World non manderà fuori di testa come The OA, non dividerà il pubblico e difficilmente sarà odiato. Al tempo stesso, però, probabilmente se ne parlerà molto meno. La miniserie è un tentativo di prendere il giallo classico, il murder mystery whodunit, quei film in cui va alla ricerca di un colpevole, e portarlo a un livello successivo, scostandosi dalla tradizione senza abbandonarla del tutto.

La storia alla base di A Murder at the End of the World sarebbe sicuramente piaciuta ad Agatha Christie. Otto ospiti riuniti da un magante della tecnologia in un luogo remoto e una morte improvvisa, uno degli ospiti, Darby, è una giovane hacker figlia di un patologo, cresciuta circondata dai delitti e affascinata dal caso di alcune sparizioni di donne che la porta a conoscere Billy e a diventare famosa scrivendo un romanzo su questa indagine. Sarà a indagare alla ricerca della verità in questo rifugio d’elite tra i ghiacci artici.

Il raduno di cervelli per immaginare un futuro migliore, si trasforma così in un mistero. Tra hacker, esperti di tecnologia, tecnici e creativi, prevale la tensione mentre imperversa la tempesta e questo luogo isolato assomiglia sempre più a una prigione. Brit Marling e Zal Batmanglij sembrano voler guardare alla lezione dei gialli nordici, più tesi all’approfondimento psicologico che al ritmo dei thriller americani. La tensione langue e vive di momenti. Emma Corrin appare decisamente fuori parte nei panni di Darby Hart con una recitazione forzata e un tentativo di ricreare una giovane esponente della Gen Z nascosta sotto la coltre di una donna adulta. Il riferimento alla generazione Z della protagonista finisce per restare nella descrizione della trama, senza esser mai percepito nel racconto. Prevale la verbosità e la dilatazione del tempo, i flashback servono a costruire la personalità di Darby e a raccontarci la profonda storia d’amore con Billy.

A Murder at the End of the world vive di arzigogoli, di orpelli più che di sostanza, al punto che finisci per dimenticarti che stai guardando un giallo. Il suo elemento più convincente è l’approfondimento psicologico della solitudine dell’animo umano alla ricerca della perfezione. Il misterioso magnate Andy, interpretato da Clive Owen, rappresenta la summa di tutto quello che l’immaginario contemporaneo associa al ricco miliardario, un po’ folle, decisamente intelligente, amorevole e appassionato, attento all’ambiente, alla sostenibilità, e al futuro dell’umanità.

I vari ospiti rappresentano le diverse facce dell’elite riunite in uno stesso posto per il contributo che potrebbero dare a immaginare un mondo migliore. C’è chi progetta smart city, chi dirige film di successo, c’è l’hacker, l’artista, ognuno con il proprio bagaglio di esperienze da portare a questo consesso. Ma la protagonista è Darby e la sua visione del presente. Conosciamo la storia attraverso il suo punto di vista.

I colpi di scena sono sapientemente dosati per ridestare l’attenzione, persa dietro i flashback di una storia romantica tratteggiata con i contorni del film indie, con due giovani appassionati, ossessionati e con quello stile scapestrato che deve tratteggiare una certa tipologia di racconto. Il passato di Darby fa da contrasto al presente in cui si trova trascinata in un inferno per ricchi. Il controllo, l’ossessione per la perfezione, completano i diversi temi del racconto.

A Murder at the End of the World è una miniserie che aspira a essere tante cose, che vorrebbe essere un giallo elegante, complesso, psicologicamente raffinato, un’analisi del presente tra tecnologia invasiva e futuro distopico pronto a diventare realtà, ma che non va mai oltre la superficie e per lunghi tratti perde lo spettatore. La recitazione eccessivamente forzata, caricata, risulta fredda impedendo di entrare veramente nella storia. Forse un pizzico di follia e di imprevedibilità in più avrebbe reso queste sette puntate più coinvolgenti e meno fredde, come finiscono per risultare.

A Murder At the End of the World su Disney+ dal 14 novembre composta da 7 episodi e finale previsto il 19 dicembre.

A murder at the end of the World

A Murder at the End of the World è un giallo classico che ricorda Agatha Christie, portato nelle atmosfere artiche non solo per l’ambientazione ma anche per il tentativo di analisi psicologica e dell’umanità. Nel tentativo di essere profondo e emotivamente coinvolgente finisce per essere più freddo dell’Artico, risultando impostato e forzato nella recitazione dei vari personaggi. Il suo elemento più convincente è l’approfondimento psicologico della solitudine dell’animo umano alla ricerca della perfezione.

Voto:

7.5/10
7.5/10