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La Legge di Lidia Poët, la fiction per i millennials alla conquista di Netflix

La Legge di Lidia Poët è la nuova serie tv italiana di Netflix, disponibile in streaming sulla piattaforma dal 15 febbraio con i suoi 6 episodi. Descritta da Netflix come un light procedural, la serie prende spunto dalla storia di Lidia Poët prima donna avvocata in Italia, che dovette lottare per anni per riuscire a essere iscritta all’ordine degli avvocati. Nella serie la protagonista è interpretata da Matilda De Angelis, accanto a lei Eduardo Scarpetta nei panni di Jacopo Barberis il giornalista che aiuta Lidia. Pier Luigi Pasino è Enrico Poët, mentre Sara Lazzaro e Sinéad Thornhill sono rispettivamente Teresa Barberis, moglie di Enrico, e Marianna Poët, la loro figlia.

La Legge di Lidia Poët la recensione

Un procedurale per millennials

La Legge di Lidia Poët è una fiction per millennials, per chi è cresciuto con una certa tipologia di prodotti televisivi e oggi è passato allo streaming, a Netflix in particolare, spinto dal passaparola collettivo e sempre più respinto dalla tv generalista. Un prodotto che sembra nato all’interno di una nuova stagione di Boris, costruito per i voleri dell’algoritmo: c’è la biografia, c’è il triangolo amoroso, c’è la storia teen, c’è il caso di puntata, c’è l’elemento femminista, c’è un pizzico di nudità. Insomma c’è tutto quello che serve per passare il via libera. Peccato che non ci sia la sceneggiatura sotto una forma impeccabile per scenografie, costumi, ambientazione.

La piattaforma Netflix sceglie la via della semplicità per provare per una volta a scalare le Top Ten mondiali con un prodotto italiano. Lidia Poët è italiana nella forma ma potrebbe essere spagnola, turca, americana per la trama. Un procedurale leggerissimo che difficilmente arriverebbe alla fase dei pilot della tv generalista americana, con i casi di puntata e quell’aurea da “Bridgerton” dei poveri che infarcisce il passato di temi, dialoghi e stili molto attuali. Gli attori si limitano a fare il compitino prescritto, Eduardo Scarpetta appare costretto in una macchietta così come la brava Sara Lazzaro recentemente apprezzata in Call My Agent. Matilda De Angelis sussurra per confondere le acque e cercare di non far notare l’assenza di un accento torinese, ma la sua Lidia ha lo spessore di una figurina sull’album. Ma non è colpa sua è che l’hanno scritta così. Magari La Legge di Lidia Poët avrà successo in tutto il mondo, quel che è certo è che Netflix si candida sempre più al ruolo di Rai 1 dello streaming. Voto 5.5 Riccardo Cristilli

L’attivismo femminista mediatico non basta

In questi giorni più che mai, si è parlato molto di parità di genere e ruolo della donna, complice uno dei più chiacchierati Festival di Sanremo che ha visto sul palco molte donne che di questi temi, chi più chi meno, si fanno portavoce. Non ci dilungheremo in questa sede su commenti su Sanremo, quanto piuttosto su questo dilagante “attivismo” femminista mediatico che sta investendo tutto il mondo dello spettacolo e, ovviamente, della narrazione seriale e cinematografica. Lidia Poët ne è un esempio lampante: la serie, lanciata come ogni produzione Netflix in pompa magna, supportata da influencer e creator ingaggiati per l’occasione, non brilla purtroppo per acume e originalità. Anzi. Nel farsi bandiera femminista, ciò che risulta è la solita ridondanza che alla fine dei conti, tanto vuole e nulla stringe.

È una serie pretestuosa e come accade spessissimo nelle produzioni italiane della piattaforma, estremante teatrale nella recitazione, dalle frasi artefatte sussurrate con voce suadente dalla De Angelis, alle uscite ironiche “da manuale” di Scarpetta. Un femminismo quasi “di maniera” che anziché raccontare adeguatamente una storia che lo meriterebbe, risulta ridondante e a tratti superficiale. Un uso della musica ancora una volta pop, rende ancor meno credibile un susseguirsi di episodi lunghi e ahimè noiosi. Voto 5
Giorgia Di Stefano di TvTips 

  • Riccardo Cristilli - 5.5/10
    5.5/10
  • Giorgia Di Stefano - 5/10
    5/10

La recensione

La Legge di Lidia Poët è una fiction per millennials, un procedurale leggerissimo che difficilmente arriverebbe alla fase dei pilot della tv generalista americana. La serie, lanciata come ogni produzione Netflix in pompa magna, supportata da influencer e creator ingaggiati per l’occasione, non brilla purtroppo per acume e originalità. Anzi. Nel farsi bandiera femminista, ciò che risulta è la solita ridondanza che alla fine dei conti, tanto vuole e nulla stringe.

Voto:

5.3/10
5.3/10