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Pamela a love story, su Netflix Pamela Anderson trova il suo spazio e la sua verità

Dall’uscita di Pam and Tommy in poi, il dibattito pubblico sul personaggio Pamela Anderson si è risvegliato. Tante cose sono state dette e insinuate, anche con cattiveria. Adesso, finalmente, la parola è data direttamente alla protagonista di tante chiacchiere, di tante crudeltà e di tanti errori di valutazione: Pamela Anderson in persona. Questo vuole fare Pamela, a love story, documentario sulla modella e attrice diretto da Ryan White e prodotto da Jessica Hargrave, Ryan White, Julia Nottingham, Brandon Thomas Lee (primogenito di Pamela e Tommy Lee Jones).

Netflix, forse prevedendo il polverone, è saltato sul carrozzone, e ha fatto bene. Questa storia andava raccontata finalmente dalla sua protagonista, che non si tiene sassolini nella scarpa e critica aspramente il telefilm ispirato alla sua vita e alla sua più grande storia d’amore ma anche a un avvenimento che non abbiamo paura a definire tragico, che rovinò la sua carriera e forse anche il suo matrimonio: il furto e la diffusione senza scrupoli dei video privati della coppia. Disponibile dal 31 gennaio, e siamo sicuri che entrerà nella Top Ten di Netflix senza nessun problema.

Pamela, a love story: adesso parlo io

Pamela, a love story riesce ad essere un ritratto intimo e umanizzante della donna, dalla sua infanzia (molto difficile, segnata da un padre alcolizzato e da diversi abusi) alla sua fama mondiale con Beywatch, passando dagli inizi da modella, dalle copertine su Playboy, dalla formazione della sua immagine che, tassello dopo tassello, la incornicia e imprigiona come bomba sexy biondissima e senza cervello. Grande spazio viene dato allo scandalo dei video rubati. Pamela stessa vede in questa assurda violazione della sua privacy e della sua umanità, e in tutto l’inutile processo mediatico e non solo che seguirà, la fine definitiva delle sue velleità di attrice e di star a tutto tondo, oltre che la fine del suo matrimonio con Tommy Lee, schiacciato anche lui dalle pressioni, dalla fatica, da un’indole impaziente e impulsiva.

Dopo lo scandalo e il divorzio, Pamela decide di usare lo stereotipo che le era stato forzato addosso, lo abbraccia, lo usa come modo per portare avanti le sue cause: quella animalista a quella legata alla sua amicizia con Julian Assange. Il tono è intimo, delicato, rispettoso. É bello vedere una donna raccontarsi senza finalmente doversi difendere dalle strumentalizzazioni, a suo agio nel suo spazio e con il rispetto che le si deve.

La storia di una vittima

Quello che colpisce, in questo documentario, è la consapevolezza schiacciante che Pamela Anderson è una vittima. Una vittima di chi l’ha abusata, picchiata, amata e abbandonata, certo, ma anche una vittima di chi non l’ha difesa. Di chi le ha chiesto ossessivamente del suo seno, della sua vita sessuale; di chi non ha contraddetto gli insulti sessisti che ha ricevuto. Ma anche di un’opinione pubblica misogina che dovrebbe mettersi in ginocchio a chiederle scusa. E in faccia a tutto questo, Pamela fortissima ha sempre lottato, sempre ribattuto, sempre risposto a tono, sviato, nicchiato, amato contro tutti e tutte. Per sopravvivere. Anche contro se stessa, quando ha deciso di lasciare l’uomo che amava follemente perché era stato violento con lei e sentiva il bisogno di proteggere i suoi figli.

Pamela a love story, le dichiarazioni del figlio

Brandon Thomas Lee, primogenito ventiseienne di Pamela a produttore del documentario, ha dichiarato: “Sono orgoglioso che le persone finalmente vedranno un briciolo della verità di mia madre con questo film. Spero riescano a scorgere alla fine che dietro la caricatura che tutti hanno amato c’è una donna reale, amabile, affettuosa e sensibile che si merita di essere protetta, celebrata, apprezzata. Spero anche che questo progetto le doni la chiusura di un capito molto doloroso, spero che le porti pace. Ho già notato che le ha portato una nuova energia e non vedo l’ora di scoprire cosa c’è nel futuro di mia madre”.

La recensione

Pamela, a love story riesce ad essere un ritratto intimo e umanizzante della donna, dalla sua infanzia (molto difficile, segnata da un padre alcolizzato e da diversi abusi) alla sua fama mondiale con Beywatch, passando dagli inizi da modella, dalle copertine su Playboy, dalla formazione della sua immagine che, tassello dopo tassello, la incornicia e imprigiona come bomba sexy biondissima e senza cervello.

Voto:

8.5/10
8.5/10