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Come sono le serie di Apple TV+? Da The Morning Show a Servant

Recensioni, opinioni e riflessioni sulle serie di Apple TV+ dal suo debutto a oggi (o quasi). The Morning Show, Truth Be Told, For All Manking e Servant.

Il servizio streaming di casa Apple è ormai operativo da più di due mesi. Apple TV+ infatti è disponibile in Italia dal 1° novembre, debuttando con un catalogo estremamente ridotto, rispetto a quello a cui ci hanno abituati altri servizi. Un catalogo composto solo da serie tv originali (perchè Apple TV+ funge da supporto all’applicazione Apple TV che dovrebbe contenere altri servizi streaming, ma in Italia c’è solo Starzplay per ora).

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Ora che sono passati più di due mesi, e visto che molte serie rilasciate sono già concluse, cercheremo di fare il punto della situazione, ma soprattutto cercheremo di rispondere alla domanda: Quindi come sono le serie tv di Apple TV+, ovviamente secondo noi. Troverete quindi delle opinioni brevi su quello che abbiamo visto, e su quello che non abbiamo avuto il coraggio di provare.

Recensione The Morning Show

Sicuramente lo show più popolare della piattaforma, visto che è stato nominato ai Golden Globe e ieri la protagonista, Jennifer Aniston ha vinto ai SAG Awards. Una serie che ha dato prestigio a una piattaforma appena nata (qui trovi info come trama, trailer e cast). Ecco i nostri commenti:

Davide Allegra: The Morning Show è il classico esempio della corrente di pensiero secondo la quale il rilascio settimanale contribuisce alla creazione di un rapporto più forte con lo spettatore. La serie inizia dal basso, con esagerazioni varie, tanti proclami inutili e con personaggi poco definiti, ma col passare degli episodi questi problemi svaniscono, abbiamo la possibilità di vedere il mondo redazionale del programma televisivo al centro della serie, i personaggi prendono forma pian piano e pure la serie, che si piazza di diritto tra le migliori del 2019. Voto: 8

Riccardo Cristilli: gli amanti del binge-watching non ne saranno felici, ma The Morning Show è la conferma che il rilascio settimanale aiuta la serialità. Il passaparola, i commenti social e non solo relativi alle puntate successive alle prime tre rilasciate lo stesso giorno, hanno aiutato a mantenere vivo l’interesse per una serie che a primo impatto forse colpiva meno di quanto fosse lecito aspettarsi. Pian piano la serie si evolve, inizia a prendere decisioni più coraggiose, a cambiare e definire meglio i personaggi trovando un suo equilibrio che la fa rientrare tra i prodotti migliori del 2019. Il finale ritorna un po’ ai difetti dell’origine ma ormai è perdonabile. Voto 7,5

Federico Vascotto: prendete l’intento giornalistico donchisciottesco di The Newsroom, mescolatelo con il tema tanto caro oggi del #metoo, aggiungeteci un cast perfettamente azzeccato capitanato da ritorni in tv spumeggianti (Aniston, Witherspoon e Carell) ed ecco il dietro le quinte di un altro tipo di show televisivi americani, quelli del mattino che danno il buongiorno all’America e che dovrebbero farlo sempre nell’ottica più familiare possibile. Se non fosse che il personaggio di Carell è fondamentalmente un porco che ha approfittato della sua posizione per andare a letto con quasi tutto lo studio e che ora la verità sta per venire a galla, danneggiando tutti quelli che stavano zitti a guardare. Una riflessione interessante e diversa sulla questione #metoo, per una volta anche dal punto di vista dell’uomo coinvolto e accusato, con un Billy Crudup sornione e furbissimo, dialoghi brillanti, e una Jennifer Aniston che dimostra a tutti di non essere materiale solo per le sitcom storiche. Sicuramente una delle serie dell’anno, con un finale un po’ melenso ma che ha una sua ragion d’essere per la denuncia di ciò che racconta. Voto 9

Recensione For All Mankind su Apple TV+

For All Mankind sulla carta è la serie tv più ambiziosa del canale. Un sci-fi ambientato in un universo alternativo dove sono stati i russi ad arrivare per primi sulla Luna, peggiorando i rapporti già “freddi” e di scontro con gli americani.

Davide Allegra: con For All Mankind invece è l’esatto opposto rispetto a The Morning Show. La serie ha un problema nel ritmo che porta lo spettatore ad annoiarsi facilmente, anche se sei un appassionato di storie sci-fi/ambientate sullo spazio (come il sottoscritto). In questo caso, secondo me, il rilascio settimanale non ha aiutato perché ha moltiplicato il problema per 10, ossia gli episodi della prima stagione. For All Mankind non è una serie che ti accompagna verso il finale con estrema facilità, per questo forse l’unico modo per apprezzarla è fare un binge watching forzato, un’unica sessione di visione che ti porta all’interno di quel mondo (che ha qualche difetto). Peccato però, che così si rischia di pretendere troppo, non credete? Voto: 6,5

Riccardo Cristilli: personalmente ho visto solo i primi due episodi di questa serie. Tema interessante, resa ottima ma manca quell’elemento capace di catturare lo spettatore e farlo tornare. Almeno per il momento. La fortuna delle piattaforme di streaming è che il prodotto è sempre lì disponibile. Voto: 6

Federico Vascotto: Un ucronia che ci racconta cosa sarebbe successo se i Russi fossero arrivati sulla Luna prima degli Americani, dopo quella raccontata in The Man in the High Castle con il suo ribaltare la vittoria dei tedeschi e giapponesi nella Guerra Mondiale. Un po’ manieristica, ma estremamente curata nella messa in scena; meno di impatto forse, e quindi meno coinvolgente e che mi ha fatto fermare ai primi episodi al momento. Voto 6,5

Recensione Truth Be Told su Apple TV+

Truth Be Told è un’altra di quelle serie che sulla carta ha delle potenzialità, a partire dal cast principale composto da Octavia Spencer, Lizzy Caplan e Aaron Paul. La prima è una giornalista, Poppy, che attraverso un podcast racconta storie di criminali locali, come quella di Owen Cave accusato per l’omicidio un uomo. Tutti pensavano fosse colpevole, anche lei, ma nuove informazioni sul caso, costringono Poppy a riconsiderare il caso.

Davide Allegra: più che la storia, che è un classico thriller, di Truth Be Told mi ha colpito più il modello narrativo, che fa tanto uso del podcast non solo visivamente con Poppy che registra le puntate, ma anche nel racconto attraverso la voce fuori campo che fa una sorta di riepilogo della puntata, trasformando l’episodio in una sorta di ibrido, un “video-podcast”. La serie ha generato in me un conflitto interiore sulla natura del personaggio di Poppy, effetto che probabilmente non era voluto. Un personaggio che reputo al limite tra il positivo e il negativo. Una giornalista che in virtù del fatto che vuole far sapere “al mondo” (qui si lascia andare in discorsi troppo esagerati, sta comunque raccontando una storia locale), indaga, chiede favori, e registra delle puntate di un podcast facendo da commentatore e giustiziere. Questo senza curarsi di trovare prove tangibili e/o degli effetti sui protagonisti della storia che sta raccontando. Questi ultimi sono solo strumenti da usare per la ricerca della verità, una verità che io ho interpretato come personale più che assoluta. Voto: 7

Riccardo Cristilli: il crime incentrato sulla figura dell’investigatore, detective, giornalista o privato cittadino che sia, è un genere narrativo ben chiaro. Ci sono saghe e saghe di romanzi costruite su un personaggio ricorrente, nel mondo della serialità questo permette di cambiare attori e personaggi mantenendo un filo conduttore. Negli ultimi anni si è diffusa la moda dei podcast true crime e spesso i due mondi si sono incrociati. Come in Truth Be Told dove il podcast prende vita più che altrove con tanto di frequenti registrazioni degli episodi. Se l’elemento crime è interessante, risulta molto meno coinvolgente la componente personale della protagonista, necessaria per questa tipologia di serie, ma qui costruita fin troppo banalmente per essere significativa. Ma il gusto elegante del procedere delle indagini e l’abilità recitativa dei protagonisti, permettono di superare i difetti, compreso un eccessivo “potere” assegnato al podcast, capace di decidere i destini delle persone. Voto: 7

Federico Vascotto: Il classico giallo da romanzo che gioca tutto sul colpo di scena finale al momento dello svelamento di tutte le carte che incrocia la modernità dei podcast true crime tanto in voga negli ultimi tempi. Una protagonista, come spesso capita, divisa fra il bisogno di scoprire la verità a tutti i costi e le conseguenze che ciò comporta per chi le sta accanto. Ritmo incalzante e avvolgente (per la location e la fluidità delle puntate) e interpreti di spessore per una storia interessante e attuale che però, secondo me, vuole mescolare troppi elementi – razziale, di differenza di classe, coniugale, familiare – per un frullatore finale un po’ “strabordante”. Voto 7

Recensione Servant

Servant

Su Servant facciamo solo una precisazione. Sicuramente avrete letto il nome di Servant associato a quello di M. Night Shyamalan, la precisazione è che il regista ha solo diretto il primo episodio e nella serie ha il ruolo di produttore. Tony Basgallop invece si è occupato di delle sceneggiature di tutti gli episodi.

Davide Allegra: impossibile commentare Servant senza cadere nel rischio spoiler. Diciamo semplicemente che, a differenza di For All Manking, il mistero che aleggia intorno alla protagonista ti porta direttamente a fine stagione, è il fulcro della serie e attraverso questo scopriamo la vita di una famiglia diversa dal solito, una coppia ricca di Philadelphia, lei un inviata di un tg locale, lui uno chef: una coppia protagonista di un mondo a parte, a volte parte di una fantasia, un mondo che noi non vediamo perchè la storia e lo spettatore è chiuso in casa ad attendere il prossimo ingresso, il prossimo ospite e il prossimo colpo di scena. Certo bisogna capire se questa attesa un giorno verrà ripagata. Voto: 7

Riccardo Cristilli: Servant è un thriller psicologico dalle sfumature vagamente horror e soprannaturali, prodotto da M. Night Shyamalan il cui stile aleggia su tutta la prima stagione anche oltre l’episodio in cui è direttamente coinvolto. Il mistero si complica puntata dopo puntata, nel chiuso della claustrofobica casa dove tutto è ambientato. Spazi stretti, inquadrature ravvicinante e un lento incedere che rende tutto affascinante. Voto: 7.5

Federico Vascotto: Una serie pubblicizzata – come spesso capita – “di M. Night Shyamalan” nonostante lui non ne abbia curato il soggetto e lo sviluppo e abbia solamente diretto il primo episodio. Eppure c’è tanto di lui nei dialoghi asciutti, nella claustrofobica casa dove vive la famiglia protagonista, nel ritmo lento e snervante in cui sembra non succeda nulla ma sta per succedere di tutto, e in un tema nuovamente molto umano trattato in modo semi-soprannaturale, come nei suoi film. Una serie che è stata furba per il cast scelto e aver fatto puntate da mezz’ora, altrimenti l’avremmo abbandonata tutti dopo un episodio. Così invece è stato appassionante seguirla fino alla fine, in attesa di capire cosa si inventeranno per la seconda stagione. Voto 8

Dickinson e See: non classificabili

Queste sono le uniche due serie che non abbiamo visto, e probabilmente non lo faremo. Dickinson è una comedy irritante che cerca di fornire una chiave di lettura diversa alla storia della famosa autrice. See invece è il classico drama selvaggio, quella cosa che ti vergoni a guardare per quanto sia primitiva e priva di contenuti oltre agli uomini che urlano e cantano canzoni pre-battaglia. In entrambi i casi la visione è stata interrotta dopo qualche minuto, per questo motivo le inseriamo tra le “non classificate”, quelle che proprio non ce fai a guardare.

Apple TV+ il responso… secondo noi

In questi primi due mesi e mezzo Apple TV+ di certo ha fatto passi da gigante. Apprezziamo moltissimo il metodo di rilascio settimanale, che come già detto, è elemento caratterizzante della serialità. Il servizio ha cercato di accontentare tutti proponendo serie tv ben realizzate, non troppo impegnate, ma nemmeno troppo pop, una via di mezzo che non scontenta nessuno.

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